Sono più di tre milioni e mezzo i lavoratori attivi in smart working in Italia. Sul totale, quasi due milioni sono attivi nelle grandi imprese, 625mila nelle microimprese, 520mila nelle Pmi, mezzo milione nella amministrazione pubblica. I dati, contenuti nella ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, attesta che il lavoro agile regge, nonostante lo stop a tutte le misure di smart working semplificato che obbligavano i datori di lavoro a consentire questa pratica per specifiche categorie. Rispetto al 2023 i dati sono più o meno equivalenti, anche se in leggero calo (-0,8%): nel 2024 risultano 3,55 milioni di lavoratori, l’anno scorso erano 3,58 milioni. Ma la ricerca prevede che nel 2025 il dato tornerà a crescere, sospinto in particolare dalle grandi imprese e nella PA: praticamente tutte le grandi società imprenditoriali prevedono di mantenere lo smart working anche in futuro. Un terzo circa (35%) delle grandi imprese e il 43% delle amministrazioni pubbliche prevede un incremento dei lavoratori coinvolti nel prossimo anno.
Lo smart working piace e molti non rinuncerebbero volentieri
La scelta di tornare a lavorare in presenza e non operare più in smart working, in Italia è legata a più fattori, ma per lo più è il risultato di una decisione aziendale. Come specificano gli analisti dell’Osservatorio:
“solo il 19% lo ha fatto per scelta personale, perché non ha più la necessità di lavorare da remoto o semplicemente preferisce socializzare con i colleghi in presenza, il 23% ha una nuova mansione non svolgibile da remoto, mentre per la grande maggioranza (58%) è stata una decisione presa dall’azienda”.
La formula del lavoro agile piace e molti sono i lavoratori che esprimerebbero contrarietà alla richiesta di completa eliminazione: da un sondaggio dello stesso Osservatorio Smart Working, si evidenzia che ben il 73% dei lavoratori reagirebbe in modo avverso all’eventuale richiesta di eliminare completamente il lavoro da remoto.
Come si evolvono gli spazi di lavoro
Gli spazi di lavoro sono sempre più al centro di un crescente ripensamento al fine di renderli più efficaci ed attrattivi in un modello di smart working in Italia. Quasi otto grandi imprese su dieci (78%) ha spazi flessibili, quantomeno in alcune sedi. Si caratterizzano spazi riconfigurabili, differenziati e in grado di consentire un uso efficace degli ambienti, soluzioni presenti anche nel 49% della PA e nel 34% delle Pmi. Il 56% delle grandi imprese e il 28% di Pmi ed enti pubblici hanno introdotto nelle loro sedi spazi dedicati al recupero delle energie e alla socializzazione, mentre restano ancora poco diffuse le soluzioni per il benessere fisico come gli standing desk.
Sulla sostenibilità degli spazi di lavoro c’è ancora molto da fare, soprattutto dal punto di vista ambientale. Lo evidenzia la stessa ricerca dell’Osservatorio Smart Working. Come spiega il documento, gli interventi attuati, presenti almeno in alcune sedi del 63% delle grandi imprese, nel 54% delle Pmi e 56% delle PA, si concentrano principalmente su sistemi che permettono di segmentare gli spazi, evitando il riscaldamento o raffreddamento degli ambienti quando non usati. Meno diffusi sono gli arredi con materiali sostenibili e di riciclo, presenti nel 40% delle grandi imprese, 15% delle PMI e 12% delle PA.
Sull’inclusività solo il 26% delle grandi imprese, il 13% delle Pmi e il 21% della pubblica amministrazione hanno elementi che rendono gli spazi accessibili a persone con esigenze non standard, come percorsi tattili e scelte cromatiche pensate per chi ha difficoltà visive. «Meno di un’organizzazione su dieci ha spazi adeguati a persone con neurodiversità o luoghi di preghiera per diverse fedi religiose», rilevano gli analisti nella ricerca.
Settimana corta e international smart working
Oltre ai luoghi di lavoro, si fanno spazio modalità lavorative alternative a quelle più tradizionali. Certo, si tratta di pratiche ancora poco sviluppate: meno di un’azienda su dieci ha adottato la settimana corta. Tuttavia, la formula sta riscontrando interesse nelle organizzazioni. L’Osservatorio, a questo proposito, rileva che:
“i modelli e le pratiche sono molto diversi, dalla settimana compressa ai venerdì brevi, talvolta applicati solo in determinati periodi dell’anno, o una rimodulazione dell’orario lavorativo riservate a specifici profili di lavoratori, come quelli su turni”.
L’introduzione della settimana corta, o la volontà di introdurla, si motiva per lo più come modo di migliorare il bilanciamento fra vita privata e lavorativa delle persone (è così per il 91% delle aziende), ma anche per voler aumentare la soddisfazione lavorativa e l’engagement (89%) oltre che per risultare più attrattive sul mercato del lavoro (56%).
Un altro fenomeno emergente è l’International Smart Working, modalità che permette a un dipendente di lavorare in un Paese in cui il suo datore di lavoro non ha un’entità organizzativa o una legal entity. È già presente in quasi un terzo (29%) delle grandi imprese, mentre è raro (4%) nelle Pmi.
Lo smart working influenza anche il mercato immobiliare
L’indice di gradimento non è alto solo in Italia. In Germania, per esempio, sebbene le aziende stiano riportando i propri dipendenti in ufficio, la percentuale di persone che lavorano da casa è rimasta stabile per quasi due anni.
Così, lavorare da casa riduce la necessità di spazi per uffici in Germania. Questo è il risultato di un nuovo studio condotto dall’istituto ifo e da Colliers – società di consulenza immobiliare – per le principali città di Berlino, Amburgo, Monaco, Colonia, Francoforte, Stoccarda e Düsseldorf.
“Lavorare regolarmente da casa è diventata la nuova normalità per circa il 25% dei dipendenti e il 69% delle aziende. Ciò sta portando a un calo della domanda di spazi per uffici, in particolare tra le grandi aziende e nei settori in cui lavorare da casa è più comune. Entro il 2030, è probabile che la necessità di spazi per uffici sarà diminuita del 12%”.
La riconversione degli spazi per uffici grazie allo smart working potrebbe creare circa 60mila nuovi appartamenti nelle sette maggiori città prese in esame in Germania. Inoltre, fa emergere la necessità di ripensare il concetto di ufficio, con una progressiva riduzione dello spazio fisico a disposizione delle aziende (fonte: ifo / Colliers).
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