Forse non lo sappiamo, ma i dark pattern fanno parte della nostra vita quotidiana. Un piccolo esempio? Sicuramente vi è capitato di iscrivervi a una newsletter. Quando lo fate sapete che dovreste avere la possibilità di disiscrivervi in ogni momento. Capita però che a volte il tasto “disiscriviti” non esista. Questo non è un errore di chi ha progettato la user interface ma una scelta intenzionale. Un dark pattern, appunto. In parole più semplici un percorso oscuro. 

Cosa sono i dark pattern e perché sono problematici 

I dark pattern sono proprio questo: delle scelte arbitrarie effettuate nella progettazione di un’interfaccia e pensate per costringere l’utente ad effettuare azioni che altrimenti non avrebbe compiuto. Di quali azioni stiamo parlando? L’esempio della disiscrizione alla newsletter è una di queste, ma ci sono altri dark pattern ugualmente fastidiosi e assolutamente non in linea con una perfetta gestione dei dati. Gli obiettivi dei percorsi oscuri possono essere diversi: portare l’utente a compiere determinate azioni, nascondere informazioni decisive all’utente oppure evitare che l’utente metta in atto azioni controproducenti per l’azienda (come, appunto, la disiscrizione da una newsletter). 

Il vero scopo dei percorsi oscuri? La personalizzazione 

Ma perché condurre gli utenti a compiere azioni non volute? La risposta è la più ovvia possibile e nasconde uno scopo commerciale ben definito: la personalizzazione.  La tipica frase che riempie policy e informative “i tuoi dati verranno utilizzati per migliorare i prodotti e i servizi offerti” in realtà spesso nasconde tecniche di profilazione di dubbia moralità: analisi della psicologia dell’utente, delle modalità e delle tempistiche con cui si connette, di quali interfacce preferisce e così via. 

Personalizzare sfruttando i percorsi oscuri è per le aziende una grande opportunità. Oltre alla profilazione basata sui prodotti e servizi preferiti si recupera una nuova profilazione cognitiva, esclusivamente basata sui comportamenti che questi dark pattern impongono inconsciamente all’utente. 

Dark Pattern: alcuni esempi 

Sono veramente infiniti gli esempi di dark pattern che aziende senza scrupoli mettono in piedi per confondere l’utente durante la navigazione e l’eventuale acquisto. In questo modo raggiungono un doppio obiettivo: ottengono più informazioni personali e distolgono l’attenzione del consumatore dalle loro reali intenzioni. Vediamo i “più famosi”: 

  • Roach Motel: la traduzione italiana è “motel di scarafaggi” e rende molto bene l’idea. In questi casi spesso i dark pattern rendono estremamente facile iscriversi a contenuti o servizi di abbonamento premium, ma rendo quasi impossibile togliere l’iscrizione velocemente. La possibilità esiste ma è nascosta nei meandri del sito. 
  • Trick Questions: ovvero le domande trabocchetto contenute all’interno dei moduli. Si tratta di domande ambigue che richiedono spesso risposte strane. Perché esistono questi dark pattern? Per capire qual è il grado di attenzione dell’utente nella lettura dei testi e quindi il suo livello di manipolazione. 
  • Hidden Costs: vi è mai capitato di effettuare un ordine e ritrovarvi all’ultimo momento con costi non previsti come tasse e costi di spedizione. Questo è un dark pattern. I costi non vengono specificati prima, ma solo durante la fase di pagamento. L’utente solitamente arrivato a questo punto non torna indietro e tende comunque a confermare l’ordine. 
  • Misdirection: questo percorso oscuro è un vero e proprio artifizio di User Design che porta l’utente a prestare attenzione ad alcuni elementi grafici in modo da scartarne altri, i quali lo portano indirettamente a mettere in atto un  comportamento specifico. 

Come le aziende possono evitare i dark pattern? 

Non si può sicuramente affermare che le aziende che sfruttano i dark pattern non ne siano a conoscenza. Oltre al GDPR oggi ci sono numerose Direttive europee che tutelano gli utenti dinanzi a queste prassi in grado di modificare la capacità decisionale. Per non incappare in problemi legali e di reputazione le aziende devono assolutamente evitare di cadere in queste tentazioni. 

Come fare? Innanzitutto cercare di conoscere al meglio il mondo dei percorsi oscuri, soprattutto quando la gestione del sito è affidata a terzi. Il punto centrale spesso è rappresentato dalla gestione dei cookie, con la presenza di box pre-flaggati o di box per l’accettazione difficilmente rintracciabili dall’utente. In questi casi è bene approfondire la tematica, magari con il supporto di associazioni che rappresentano i consumatori. Il sostegno di esperti è fondamentale per ottenere un sito dotato di soli transparent pattern, in ogni pagina e in ogni area in cui si entra in contatto con l’utente. Ne beneficiano la correttezza e soprattutto la propria reputazione online. 

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