Quando si parla di Città Open-Source si finisce per intrecciare tecnologia, filosofia e sociologia. La tecnologia perché, come chiaro, l’open source è una soluzione mutuata dal mondo informatico e già ampiamente utilizzata negli ambiti aziendali piuttosto che nella Pubblica Amministrazione. Filosofia, perché interroga la sfera delle leggi di governo comune, e sociologia dal momento che trasforma il comportamento umano nella base per un suo migliore sviluppo. Ma cos’è in definitiva una Città Open Source? Su che presupposti si basa? Che futuri scenari può generare?
Città Open Source: cos’è?
La Città Open Source è definibile come una città aperta, non solo nel suo aspetto culturale, ma nelle sue trame informatizzate. All’interno delle metropoli, sempre più digitalizzate, cresce con forza l’esigenza di una partecipazione comune. Se da una parte la smart city ha permesso di intrecciare strutture materiali e immateriali per ottenere benefici “intelligenti”, dall’altra si tratta pur sempre di un sistema chiuso, determinato e gestito in modo autocratico da chi ne dispone (il governo del territorio). La open source city, al contrario, propone un modello più aperto dove la città si presenta come un enorme software al quale tutti possono sia accedere che apportarvi modifiche, miglioramenti e ottimizzazioni.
Smart City vs Open Source City
Si determina così un evidente contrasto tra le smart city, chiuse per natura, e le open source city, aperte per definizione. In realtà i più attenti all’evoluzione tecnologica potrebbero vedere nelle seconde il naturale sviluppo delle prime, dove l’interconnessione informatica viene resa disponibile alle modifiche dei cittadini. Secondo la sociologa Saskia Sassen, che ha fatto dell’urbanistica Open Source la base dei suoi studi, l’obiettivo delle città moderne è quella di passare dalla tecnologizzazione delle città (già ampiamente in essere) all’urbanizzazione della tecnologia. Ciò significa rendere i grandi centri urbani come dei luoghi dove collaborazione, trasparenza e partecipazione diventino la base per lo sviluppo del benessere comune: segnalazione di malfunzionamenti, dissesti, aree abbandonate e malgestite e molto altro ancora.
L’obiettivo di fondo delle Città Open Source è quindi di andare oltre le tecnologie, come ad esempio l’Intelligenza Artificiale, finite e determinate, che già oggi migliorano la qualità della vita dei cittadini (si pensi al risparmio energetico, alla gestione del traffico, al rilevamento del livello di inquinamento dell’aria). Il prossimo passo è stimolare un senso cooperativo che spinga i cittadini ad interagire con i software e le tecnologie in modo da partecipare attivamente nella migliore gestione della propria città. Per raggiungere questo scopo è però necessario che le stesse tecnologie abbiano una natura aperta, visibile a tutti, studiabile e modificabile.
Come stimolare le città aperte
Come in ogni progresso culturale e tecnologico però ci sono dei limiti e degli ostacoli che è determinante superare per ottenere delle vere Città Open Source. In primis la difficoltà nel coinvolgimento dei cittadini stessi. La cultura della partecipazione è di per sé complicata da incentivare e per questo servono delle mirate politiche governative. Ecco allora che diventano fondamentali i gruppi di utenti, oggi facilmente configurabili anche sui social network. Il secondo ostacolo da oltrepassare è la naturale reticenza di alcune amministrazioni locali, che per paura o poca dimestichezza con l’evoluzione tecnologica stentano a predisporre infrastrutture open data. E questo sarebbe un grande peccato, visti i numerosi vantaggi che sempre scaturiscono da una gestione collaborativa e partecipativa.
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