Sono in diversi a prevedere lo spatial computing come una nuova frontiera capace di offrire grandi opportunità di sviluppo in diversi campi applicativi. Gartner stima un mercato di straordinaria crescita, in procinto di passare da 110 miliardi di dollari nel 2023 a 1700 miliardi di dollari nel 2033, con i servizi basati sulla localizzazione (location-based services) che rappresentano la più grande potenzialità di un mercato.
D’altronde, stiamo parlando di una disciplina che lega insieme processi e strumenti utili ad acquisire, elaborare e interagire con dati in 3D.
Le possibili applicazioni sono davvero molteplici e in parte ancora da definirsi, ma già è possibile pensare che dalle applicazioni portatili si arrivi a immaginare le auto a guida autonoma come strumenti di informatica spaziale.
Cos’è lo spatial computing
Anche se si fa riferire la nascita del concetto di spatial computing alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, una prima definizione di questo termine l’ha fornita Simon Greenwold, che nella sua tesi di master del 2003 al Massachusetts Institute Technology, lo presentò come
“l’interazione umana con una macchina in cui quest’ultima conserva e manipola riferimenti a oggetti e spazi reali. È un componente essenziale per rendere le nostre macchine partner più a pieno titolo nel nostro lavoro e nel nostro divertimento”.
Spatial computing è una tecnologia definita dai computer in grado di fondere i dati del mondo che li circonda in modo naturale. Si tratta di un paradigma rivoluzionario che probabilmente influenzerà il modo in cui percepiamo e interagiamo con il mondo che ci circonda. La convergenza di sensori di movimento avanzati, computer vision e processori o chip è diventata il catalizzatore dell’evoluzione dello spatial computing con la realtà aumentata e la realtà virtuale. In poche parole, è un termine generico per le tecnologie che fondono il mondo fisico e quello digitale, consentendo agli utenti di interagire con i contenuti digitali in modo più intuitivo e coinvolgente.
Gli strumenti e le possibili applicazioni
Un primo strumento legato allo spatial computing è Microsoft HoloLens. Questo dispositivo utilizza la realtà aumentata per sovrapporre oggetti digitali al mondo reale, consentendo agli utenti di interagire con tali oggetti in modo naturale all’interno del loro ambiente fisico. Tale tipo di soluzione tecnologica è intrinsecamente legata al concetto di spatial computing, poiché consente agli utenti di percepire e interagire con dati digitali in contesti spaziali reali, aprendo la strada alla mixed reality. Un’altra novità sensibile è costituita da Apple Vision Pro, definito dalla stessa azienda, “la nuova era dello spatial computing”.
Strumenti e definizioni a parte, sono le possibili applicazioni dello spatial computing a essere di grande interesse. Pensiamo all’industria 4.0 e alle smart factory. Con l’adozione del “calcolo spaziale” sarà possibile abilitare strumenti ancora più completi per gestire attività in maniera ancora più approfondita, rapida ed efficace.
Beneficeranno dello spatial computing anche gli ambiti della medicina e della progettazione architettonica, passando alla formazione e alle opportunità offerte da un nuovo modo di poter imparare, cogliendo i benefici della combinazione virtuosa tra fisico e digitale.
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