In cosa si differenziano 5G e 6G?
Probabilmente non basterebbe un articolo per dare una risposta esaustiva. Quindi accontentiamoci per il momento di una descrizione sommaria. A fornircela è il professor Matti Latva-Aho, dell’Università di Oulu in Finlandia:
“Il 6G è tutta una questione di dati, di come vengono raccolti, elaborati, trasmessi e consumati all’interno di una rete wireless”.
Latva-Aho è il direttore del 6G Flagship, il più famoso centro di ricerca sul 6G. Nel dettaglio il professore è primo ad aver scritto una sorta di manuale dedicato a questo nuovo standard di connessione.
5G e 6G: incognite sul passaggio di testimone
Attualmente sia i grandi player del mercato TLC sia le maggiori potenze geopolitiche stanno accelerando le ricerche sul 6G. Il motivo è molto semplice: guadagnare vantaggio competitivo sulla tecnologia che pare già destinata a soppiantare il 5G. Ma cosa cambierà con il passaggio di testimone tra 5G e 6G?
Una delle questioni più scottanti riguarda l’approccio Open Source. Come risaputo le reti 5G fanno ampio utilizzo dell’Open Source, sia a livello hardware che a livello software. Basti pensare alle Radio Access Network per il primo caso e al network slicing per il secondo. Il grosso rischio però è che alcuni grandi stati che stanno sperimentando il 6G limitino più del dovuto il ricorso all’Open Source, interrompendo un processo che sembrava ormai irreversibile.
Il passaggio dal “closed source” all’“open source”
Le reti cellulari tradizionali fino al recente passato hanno sempre avuto un approccio monolitico, o meglio Closed Source. Il singolo operatore poteva sfruttare solamente gli apparati fisici di un singolo fornitore. Questa operatività eliminava ogni possibilità di interoperabilità e limitava la flessibilità della rete. Flessibilità che invece è tornata determinante con l’avvento del 5G che, come risaputo, è potuto prosperare grazie all’approccio Open Source.
6G: più “closed” che “open”
Come già accennato non c’è potenza mondiale che non stia studiando e approfondendo il discorso 6G. Ad un primo impatto si potrebbe pensare che la correlazione tra 5G e 6G possa partire dal punto fermo dell’Open Source. Questo perché l’approccio “open” consente di gestire al meglio la banda e la latenza, oltre che a garantire un’organizzazione più efficace dell’enorme mole di dati che giungerà dai dispositivi IoT costantemente connessi.
In questa direzione si stanno muovendo Nokia e Ericsson, due colossi TLC che hanno firmato un accordo di collaborazione con la Commissione Europea per studiare e approfondire al massimo le potenzialità del 6G. Ma così come l’establishment europeo ha iniziato gli esperimenti sul nuovo standard di comunicazione così ha ovviamente fatto anche la Cina, vera e propria potenza mondiale a livello informatico e non solo.
Cina: rischio di deriva autoritaria
Nel dettaglio il governo cinese ha inserito il 6G tra le priorità del prossimo piano per lo sviluppo economico (2021-2025) convinto di come questo standard possa rivelarsi determinante per sostenere lo sviluppo industriale della nazione. Il problema? Nel piano di sviluppo del governo è stato fissato un paletto preoccupante: la creazione di una nuova rete internet (chiamata “NewIP”) che, per consentirvi l’accesso, richiede una registrazione obbligatoria.
Grazie all’Open Source si era arrivati alla definizione del “5G sicuro”, uno standard di comunicazione che non sottostava in nessun modo a complicazioni geopolitiche o all’obbligo di produttori “closed”. Con una registrazione obbligatoria invece aumenterebbero sensibilmente il potere di censura e il controllo personale; in questo modo tutti i progressi fatti dal 5G e dall’Open Source potrebbero essere spazzati via dalle nuove pretese del gigante cinese.
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