Nel grande processo che vede l’Open Innovation riconosciuta come un inestimabile valore aggiunto, le PA sono arrivate per ultime. Tuttavia, nell’entrare in un campo già ampliamente esplorato, hanno saputo individuare le opportunità più velocemente. Ora possono pianificare con serenità i prossimi step.
L’innovazione, all’interno delle PA, è sempre stata attuata molto lentamente e senza grandi spinte propositive. Questo è insito nel modo in cui lavorano, ossia una sorta di regime di monopolio. Non è necessario emergere e combattere per sopravvivere.
La forte richiesta di innovazione è arrivata dal basso, ossia dagli utenti, ed è una richiesta che è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni.
Sogei, che fa della modernizzazione e digitalizzazione del sistema Paese la sua mission, ha puntato su un metodo Open Innovation già nel 2019. Con un programma triennale, che viene rilanciato nel 2021 per un nuovo triennio a servizio delle PA, ha saputo creare esperienze pilota.
Su questo tema Sogei è stata lungimirante, dato che ha portato l’Open Innovation per la prima volta nella PA centrale. L’ obiettivo è attuare un processo di cambiamento verso la digitalizzazione a tutto vantaggio dell’esperienza del cittadino.
In altre parole, una delle best practice previste ora dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Cos’è l’Open Innovation
Il termine Open Innovation viene coniato da Chesbrough nel 2003 in contrapposizione alla “closed innovation”. La tendenza, imperante in quel periodo, voleva tutta l’innovazione sviluppata internamente all’azienda.
Chesbrough sosteneva al contrario che innovare richiedeva competenze, conoscenze e velocità che non potevano sempre essere reperite all’interno di una organizzazione chiusa.
Soprattutto le grandi organizzazioni dovevano trovare il modo di trarre vantaggio dalle esperienze delle piccole e veloci start up, La loro flessibilità e le pluralità di competenze che si sviluppavano al loro interno dovevano essere una risorsa utilizzabile.
Quindi, con il temine Open Innovation si indica oggi un flusso di competenze e conoscenze che esce o entra nelle aziende e spinge verso il cambiamento. I movimenti di questi flussi sono principalmente tre:
- Inbound (outside in), ossia l’innovazione arriva dall’esterno e entra all’interno dell’organizzazione.
- Outbound (inside out),quando il flusso che porta all’innovazione viene ceduto dall’organizzazione a qualcuno di esterno.
- Misto, quando le informazioni necessarie all’innovazione viaggiano in entrambe le direzioni.
Fondamentale è il concetto di intenzionalità. Ciò che porta all’innovazione fa parte di un progetto condiviso, che può prevedere o meno un compenso, oppure una partecipazione, o altre forme di collaborazione. Purché siano stabilite a monte da entrambe le parti.
Cosa può chiedere la PA all’Open Innovation
Come già anticipato, la PA non opera in un mercato concorrenziale che stimola all’innovazione continua.
D’altro canto, la velocità con cui si sono trasformate le esigenze degli utenti, sempre più digital e sempre più competenti, hanno travolto l’immobilismo delle PA con richieste pressanti.
Se volessimo elencare brevemente gli ambiti in cui la richiesta di innovazione è maggiore, inizieremmo certamente dalla richiesta di maggiore efficienza.
Il confronto con il settore privato è spesso spiazzante agli occhi dell’utente, per questo è richiesto un allineamento tra i due settori.
L’emergenza degli ultimi anni ha evidenziato anche una certa rigidità nella gestione dell’imprevisto, che dovrebbe essere superata al più presto.
Le relazioni con gli organismi esterni e internazionali possono certamente essere migliorate, così come hanno bisogno di maggior digitalizzazione l’user experience e tutti i servizi di front office.
Cercare risorse, competenze, strumenti all’interno per modificare questa pluralità di situazioni è pressoché impossibile.
Per questo, affidarsi all’Open Innovation è l’unica strada percorribile.
Il modello Sogei
La strategia messa a punto da Sogei si compone di tre step principali:
Analisi della domanda di innovazione
La prima fase ha visto la partecipazione di ben venti gruppi di lavoro che, attraverso dei modelli, hanno sviluppato oltre mille idee di come la PA dovrebbe evolversi nell’arco dei successivi tre anni. Queste mille idee sono state raccolte in 40 gruppi omogenei, tra i quali sono stati scelti i macro gruppi 5, ognuno con uno specifico caso da sviluppare.
Consolidamento dell’offerta di innovazione
Tramite l’attività denominata Call4Action, Sogei è andata alla ricerca di start-up innovative, PMI tecnologiche e spin-off in grado di sviluppare soluzioni efficienti per i 5 casi d’uso emersi durante la fase precedente.
Incontro tra domanda e offerta
Infine, in un evento denominato Bootcamp, i protagonisti dei primi due step sono stati messi in contatto facendo incontrare la domanda (la PA) con l’offerta (le start up innovative) per creare sinergie durante un vero e proprio seminario operativo.
Dall’esperienza, sono stati avviati progetti pilota che rendano concreto il percorso operativo affrontato e rendano poi più facile il tramutare in decisioni operative quanto visto all’interno del metodo Sogei.
Ecco di seguito le cinque aree tematiche con i relativi casi d’uso che sono stati sviluppati nell’esperienza guidata da Sogei:
- Internet of Things – caso d’uso: Alert gestione emergenze
- Cybersecurity – caso d’uso: Instant messaging criptato
- Citizen eXperience – caso d’uso: Civic Moment Workflow
- Intelligenza artificiale e etica digitale – caso d’uso: Contro l’evasione fiscale
- Cultura digitale e del cambiamento – caso d’uso: Car Sharing
Durante tutto il percorso, gestito da un team di esperti, si è costituita la Open Innovation Community delle PA.
Comments are closed.