Con l’affermazione della fabbrica intelligente si fa sempre più importante comprendere la posizione del futuro Smart Worker. Quali saranno le conseguenze di questa rivoluzione?
Del rapporto tra uomo e macchina la letteratura ne ha fatto un caposaldo della prima metà del ‘900, quando intellettuali e autori diedero spinta al genere “industriale”. Colpa della rivoluzione industriale del secolo precedente, che segnò il prepotente ingresso nella vita operaia della macchina, mostruoso e remunerativo prodotto della scienza e della tecnica. Alienazione e sostituzione i temi principali, preoccupazione per la propria dimensione lavorativa la conseguenza più esplicita. Ebbene oggi, quasi cento anni dopo, l’argomento torna alla ribalta con la veloce affermazione della Smart Factory. Come saranno quindi i nuovi Smart Workers? E, soprattutto, esisteranno?
Cos’è la Smart Factory?
Descrivere in poche righe la Smart Factory è opera complicata, forse perché una definizione esaustiva e circoscritta oggi ancora non esiste. Ciò che è sicuro è la sua centralità nel futuro dell’impresa. Basata sul concetto di integrazione digitale la fabbrica intelligente prevede la coabitazione e collaborazione di elementi tecnologici, come robot e cobot, con le risorse umane. Si tratta quindi dell’ennesimo upgrade nel rapporto tra uomo e macchina, dove la macchina non si limita più ad essere un ripetitivo esecutore di mansioni, ma dà vita a un’interazione cooperativa con l’uomo, virando verso una sempre più evidente antropizzazione.
Rapporto tra uomo e robot: niente allarmismi
Si palesa quindi necessario ricominciare ad indagare in profondità il rapporto tra uomo e macchina, o meglio tra uomo e robot. Come sarà il rapporto tra le due forze in campo? La crescente antropizzazione dei robot accompagnerà ad una lenta scomparsa dell’uomo sul campo di lavoro? Le paure dei lavoratori delle Smart Factory sono senz’altro plausibili, anche alla luce di importanti studi di settore, come quello di McKinsey che prevede la sostituzione con robot di circa 800 mila posti di lavoro entro il 2030.
Scenario agghiacciante? Non è proprio così. La grande novità apportata dalla Smart Factory è quella di generare macchine automatizzate, sempre più in grado di eseguire lavori di alta precisione. Merito dell’Intelligenza Artificiale e di altri prodigi della tecnologia. La naturale conseguenza è l’eliminazione di quei lavori che per l’uomo appaiono usuranti e ripetitivi. Ma la risorsa umana non deve abbandonare il posto di lavoro, bensì riconvertire il proprio operato verso attività collaterali, più gratificanti e meno faticose. È questo il centro nevralgico dell’idea della Smart Factory: robot sempre più umanizzati che collaborano a stretto contatto con l’uomo, eseguendo ordini con precisione impeccabile e offrendo all’uomo una nuova dimensione lavorativa.
Veloci verso l’Umanesimo Tecnologico
Questa rinnovata collaborazione tra uomo e macchina favorisce l’ottimizzazione della produzione industriale e velocizza i processi, anche in funzione di una sempre maggiore customizzazione del prodotto. Alla base di tale rivoluzione c’è la capacità dei robot di muoversi in ambienti umani e pensare come un umano, cooperando alla pari con il lavoratore. È così ormai tracciata la strada verso un vero e proprio Umanesimo Tecnologico, con tutte le valutazioni etiche e sociologiche che ne conseguiranno.
Una nuova professionalizzazione
Nell’epoca delle Smart Factory lo Smart Worker non dovrà quindi abbandonare il campo di battaglia, ma diventerà un ausiliario del lavoro dei robot. L’uomo sarà la mente e il robot il braccio, nessuno è destinato ad escludere l’altro. Ciò significa che la risorsa umana dovrà però apprendere nuove nozioni, ampliare le proprie conoscenze e aumentare la propria professionalizzazione. Questa è la vera sfida che attende il lavoratore delle Smart Factory.
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