Abbiamo abbastanza dati per dare un ritratto preciso dell’organismo di un paziente, ma serve l’AI per tradurre queste informazioni nelle scelte terapeutiche più opportune.
In questi mesi la corsa allo sviluppo dei vaccini anti-Covid ha messo in evidenza l’importanza che le tecnologie della digitalizzazione possono avere anche in campo medico.
Le case farmaceutiche sono arrivate alla formulazione dei nuovi vaccini in tempi molto brevi rispetto all’iter normale: frutto questo di uno sforzo globale senza precedenti ma anche delle funzioni che la digitalizzazione mette a disposizione degli scienziati.
E tra queste funzioni c’è anche l’intelligenza artificiale, in particolare sotto forma di machine learning applicato a grandi quantità di dati diagnostici o collegati alle caratteristiche di una determinata popolazione.
Il valore del machine learning nella lotta contro il virus
Tutta la storia della lotta al Covid-19 è costellata di machine learning: è stato usato per arrivare a modelli che descrivessero gli spostamenti delle popolazioni, utili a ottimizzare l’efficacia delle misure di lockdown.
Con l’intelligenza artificiale alcuni ricercatori statunitensi ed europei sono arrivati ad individuare quali pazienti ospedalizzati potevano essere più ricettivi a determinate terapie.
I test sul campo dei vaccini anti-Covid sono stati resi più veloci usando l’AI per individuare prima i migliori soggetti per le sperimentazioni.
La pandemia Covid-19 è solo un esempio di quanto l’AI possa essere uno strumento chiave in campo clinico: in realtà è già da tempo che gli algoritmi di machine learning sono applicati nella diagnostica.
Ad esempio, gli algoritmi di AI possono esaminare milioni di immagini diagnostiche per arrivare a definire quali caratteristiche, magari poco visibili all’occhio dei medici umani, sono sintomo di una certa patologia.
È un esempio tra i tanti ma reale, dato che questo approccio è già ampiamente utilizzato e permette di usare come “base dati” immagini diagnostiche provenienti da centri di tutto il mondo.
Il prossimo passo è il salto dalla diagnostica alla cura: un salto molto auspicato da diversi ricercatori ed osservatori che considerano il machine learning come lo strumento di base per arrivare a un nuovo modello di terapia.
Quello in cui una cura è fatta su misura del singolo paziente e non cercando di intercettare le caratteristiche e le necessità “medie” di una popolazione potenzialmente amplissima, fatta da milioni di individui diversi: è il modello della precision medicine, la cosiddetta medicina di precisione.
Un nuovo modello di terapia: la precision medicine
Ognuno di noi è un organismo in qualche modo diverso da tutti gli altri, è logico quindi che una persona risponda ad una terapia in modo differente dal resto della popolazione.
Di norma le differenze sono poche, ma proprio per garantire questa omogeneità di reazione i medicinali e le terapie sono stati, per decenni, una sorta di “giusto mezzo”.
E in effetti non poteva essere diversamente, perché i dati clinici e personali che delineavano in cosa una persona era diversa dall’altra erano troppo pochi, e quelli che c’erano non erano facilmente normalizzabili ed utilizzabili nella ricerca clinica. Oggi non è necessariamente più così.
La medicina di precisione parte dal presupposto che sia possibile raccogliere, per ogni paziente, una grande mole di dati e informazioni che provengono da domini diversi: esami diagnostici, storia clinica, caratteristiche fisiche, abitudini, dati demografici, informazioni sull’ambiente di vita.
A questo va aggiunta una importante evoluzione: sono aumentate enormemente la quantità e la precisione dei dati clinici e fisiologici ricavabili per un paziente, grazie in particolare alle evoluzioni tecnologiche in campo genetico e genomico.
Ma non solo: oggi spesso si parla di “multi-omica” per indicare che ci sono stati salti tecnologici chiave in molti campi “-omica”: genomica, proteomica, microbiomica, radiomica e via elencando. Tutte queste evoluzioni sono combinabili, al servizio di una medicina migliore.
Senza il machine learning non esisterebbe la precision medicine
I dati che si possono raccogliere su un paziente sono tanti e tali che, per sfruttarli davvero, il machine learning è l’unico approccio possibile.
Un medico o un ricercatore umano non sarebbero in grado di fare le necessarie correlazioni tra miriadi di informazioni di domini differenti. Come potrebbero ad esempio collegare con certezza il dettaglio di una TAC a un marcatore genetico? Eppure l’AI lo fa.
Men che meno un medico potrebbe portare avanti analisi e studi trasversali su comunità un minimo ampie di pazienti: un algoritmo di Machine Learning può invece esaminare i dati di un insieme di pazienti e arrivare a stabilire in cosa sono diversi quelli colpiti da una particolare patologia.
In questo modo sono stati ad esempio scoperti nuovi “indicatori” per il diabete e il morbo di Chron, o individuati nuovi biomarker per le malattie più importanti, come il cancro, o meno conosciute, come la SLA: di certo un aiuto per la medicina di prevenzione.
La medicina di precisione in campo terapeutico si basa poi sul fatto che l’AI può collegare un paziente al suo trattamento ideale, anche se la pratica ha sfumature diverse dalla teoria.
Di certo avere un ritratto estremamente dettagliato di un paziente permette, grazie all’AI, di capire se questi è un candidato potenziale per particolari trattamenti, anche in logica preventiva o per trattamenti ancora sperimentali.
Invece di muoversi per tentativi o basandosi solo sull’esperienza, un medico può quantificare (probabilisticamente) quanto una terapia può adattarsi bene a un paziente specifico.
Lo stadio successivo? La farmacogenomica
Lo stadio successivo è quello della nascente farmacogenomica: determinare, grazie al machine learning e partendo dal genoma di un paziente, quanto e in che modo questi metabolizza una particolare sostanza chimica, nello specifico i componenti di un medicinale. L
a conseguenza è che invece di usare una sostanza chimica che mediamente avrà un certo effetto sperato, si produce un medicinale che ha la composizione ideale per avere il massimo effetto su quella persona.
La promessa è che la farmacogenomica, insieme alla costante evoluzione nelle tecniche di produzione dei medicinali, possa davvero arrivare a creare il farmaco migliore per ciascun malato. Ancora non ci siamo, ma il cammino è iniziato.
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