La corsa verso data center innovativi si gioca sul campo della sostenibilità. Una ricerca di McKinsey mostra, entro il 2030, i data center richiederanno 6700 miliardi di dollari di investimenti in tutto il mondo per tenere il passo con la domanda di potenza di calcolo. Essa comprende hardware, processori, memoria, storage ed energia necessari per il funzionamento di questi data center. “C’è un bisogno insaziabile di ulteriore potenza”, sottolinea la stessa società di ricerca e analisi.
In questa corsa allo sviluppo di nuove infrastrutture per l’elaborazione, lo storage e la gestione dei dati occorre considerare la prima voce di consumo: quella riguardante il raffreddamento. Fino al 40% del consumo energetico annuo totale dei data center è dovuto, infatti, ai sistemi di raffreddamento, che possono richiedere una grande quantità di acqua.
Oltre a lavorare sull’ottimizzazione dei quantitativi idrici e su altre soluzioni efficienti, c’è chi ha ideato e sta conducendo progetti che vanno verso lo sviluppo di data center nello spazio oppure sott’acqua. Sia pure agli antipodi, la finalità è identica: realizzare le condizioni migliori per garantire le migliori prestazioni e ridurre al minimo consumi e impatto ambientale.
Data center innovativi: spazio, prossima frontiera
L’idea di data center innovativi che siano in grado di funzionare nello spazio è più che una suggestione. Tra i soggetti attivi c’è Thales Alenia Space, joint venture italo-francese attiva nel settore della space economy che ha condotto un progetto dedicato. ASCEND (Advanced Space Cloud for European Net zero emission and Data sovereignty), progetto europeo parte del programma per la ricerca e l’innovazione Horizon Europe, si è prefisso di studiare la fattibilità tecnica e ambientale della creazione di data center spaziali. L’obiettivo principale dello studio è stato determinare se l’impatto ambientale della produzione e del lancio dei data center spaziali potesse essere significativamente inferiore a quello dei data center terrestri. La principale sfida del progetto ASCEND è stata di trovare un’architettura che rispondesse a una necessità applicativa di data center. A tal proposito si è considerato una capacità di 10 MW per Space Data Center, corrispondente a una superficie di pannelli solari di circa 35mila metri quadri. A titolo di confronto, la Stazione spaziale internazionale ha una superficie equivalente di 7.500 mq.
I risultati dello studio, presentati nel 2024, hanno rilevato che queste infrastrutture spaziali richiederebbero lo sviluppo di un vettore spaziale di lancio dieci volte meno emissivo durante l’intero ciclo di vita. Inoltre, i data center spaziali non richiederebbero acqua per il raffreddamento, un vantaggio fondamentale in periodi di crescente siccità. Si sfrutterebbero i benefici offerti dallo spazio, privo di atmosfera ed estremamente freddo.
Cloud computing spaziale: l’idea made in Italy
Altre due realtà, entrambe italiana, sono al lavoro per attivare servizi di cloud computing spaziale. Stiamo parlando di D-Orbit e Planetek, che in primavera hanno annunciato un’integrazione strategica per promuovere l’innovazione nell’elaborazione dei dati provenienti dallo spazio, nell’intelligenza artificiale, e nel cloud computing.
Le due società hanno già collaborato a diverse iniziative, tra cui la più recente è stata la prima missione di AI-eXpress, una tecnologia innovativa che sfrutta l’AI e la tecnologia blockchain per migliorare la reattività dei satelliti e consentire la trasmissione di dati analizzati a bassa latenza. Come fanno sapere:
“L’adozione di IA in orbita consente ai satelliti di prendere decisioni in autonomia, come l’identificazione dei dati utili o la regolazione delle operazioni in tempo reale, invece che attendendo istruzioni dalla Terra. Allo stesso tempo, la blockchain garantisce che le informazioni raccolte siano archiviate e condivise in modo sicuro, rendendo i dati spaziali più affidabili e accessibili”.
Da citare c’è anche la statunitense Starcloud (precedentemente nota col nome Lumen Orbit) che dalla sua nascita, avvenuta solo due anni fa, a oggi ha raccolto finanziamenti complessivi per 21 milioni di dollari per consentire il lancio di diversi satelliti, puntando alla riduzione dei costi di lancio per sfuttare l’energia solare 24 ore su 24, e il raffreddamento radiativo, “raggiungendo rapidamente dimensioni nell’ordine dei GW ed evitando i vincoli autorizzativi vigenti sulla Terra”, affermano gli ideatori.
Data center innovativi: l’opzione sottomarina
Dagli spazi extraterrestri alle profondità oceaniche, si lavora per realizzare data center innovativi che possano garantire sostenibilità ed efficienza energetica. Si ragiona sulle potenzialità offerte dai data center sottomarini, strutture informatiche a tenuta stagna situate sotto la superficie acquea, come l’oceano o anche un fiume. I centri dati sott’acqua ospitano server e apparecchiature correlate e svolgono le stesse attività di un data center terrestre, sfruttando l’ambiente subacqueo per gestire il raffreddamento, il consumo energetico e le limitazioni di spazio.
Microsoft si è mossa già nel 2018 col progetto Natick, installando un data center completamente connesso a 35 metri sotto il livello del mare nelle Isole Orcadi, appena al largo della costa scozzese, con l’obiettivo di lasciarlo lì per due anni e studiarne poi i dati. Compiuto il tempo, è ora oggetto di studio. Per ora, però, non si prevedono ulteriori sviluppi sottomarini.
Chi invece intende lavorare per uno sviluppo delle infrastrutture sottomarine è la Cina. Lo scorso giugno sono iniziati i lavori di costruzione di un data center subacqueo a più di 9 km dalla costa di Shanghai.
L’impianto integrerà l’energia eolica offshore e il raffreddamento naturale dell’acqua di mare per operare a zero emissioni e con un’elevata efficienza energetica. La prima fase del progetto, vedrà lo sviluppo di un’unità dimostrativa da 2,3 MW. L’obiettivo è di arrivare a supportare un cluster di dati da 24 MW.
Una soluzione alternativa: i data center galleggianti
Ci sono poi allo studio i data center galleggianti, strutture, ospitate su chiatte o navi adattate, che promettono flessibilità, dispiegamento più economico e sollievo dalle pressioni delle risorse terrestri e idriche. La statunitense Nautilus Data Technologies è una pioniera del modello, operando dal 2021 su una chiatta di 90 metri nel fiume San Joaquin in California, fornendo 7 MW di capacità IT utilizzando il raffreddamento ad acqua naturale. Sta già sviluppando un’altra infrastruttura simile in Irlanda.
Comments are closed.